Lavorare lavorare lavorare preferisco il rumore del mare
è una nota scritta che campeggia in una famosa località di mare che non è Grottammare, terra di ispirazione della mia psicologia cognitiva ieri sera dopo aver ascoltato in un film tv – uno dei tanti peraltro – non il canonico “cin-cin” mentre si alzavano i calici ma
QUANDO IL MONDO SE NE INFISCHIA DI NOI SI DIVENTA CINICI O SAGGI
Un modo alieno di impattare un brindisi direi, sul quale aggiungerei che l’avidità ti distrugge e ti schiavizza, mentre la vita si nutre di passione e di coraggio. Elementi che rendono liberi come la bellezza che puoi trovare nel ricordo, nelle riflessioni, nelle idee e nei sogni anche. Certo, i sogni pateticamente smisurati andrebbero affidati ad un sarto però…
Un sarto di nome angelo ma nell’accezione del sostantivo ovverosia nella dimensionalità dell’esser custode. Del resto, scendendo dai voli pindarici fra le nuvole e spostandoci di palcoscenico, potremmo seguire il consiglio di Bertold per cui
anche il miglior attore necessita dell’altro
ed il sentir l’altro può farti crescer davvero anche senza copione ma senza farti cadere dell’irresolutezza dell’improvvisazione o peggio ancora, nella solitudine, colei che conduce a subalternità ed irrilevanza, colei che puoi menzionare solo come un becero modo di nascondersi dietro una o più meno tenui foglie di fico.
E’ chiaro tuttavia che ai giorni nostri l’ego-nomia sia il tratto dominante o se preferite uno dei “delitti senza castigo” dell’epoca della crisi, non solo eco-nomica, che con l’enfasi di uno sberleffo concettuale si prende gioco di Noi Tutti dando sostanza alle proprie provocazioni figlie di un presentismo asfittico.
Cionondimeno, non si tratta di una sfida ai rigori tra il presente e l’alter(ego) nei panni della tua fanteria che morde educatamente. Ed allora? Mi direte: vuoi osannare il nostalgico ricorso al passato?
No, cari amici. Proverò ad usare solo il mio passo…
Infatti, avrei potuto farmi trascinare dal correre irrefrenabile (a volte senza senso) della mia città adottiva oppure rallentare di botto in stile natio ed invece:
col mio passo!
E’ un esercizio che mi insegna (rigorosamente a sua insaputa!) il buon Andrew capace ogni giorno di spremere intuizioni brillanti nelle tante inquietudini.
La storia di ognuno di Noi è costellata da situazioni che col senno di poi potrebbero renderti immobile ed inabile nel rimuginio del tempo, mentre il ricordo va sempre onorato e visto in positivo. Il salir di gamma non in modo presuntuoso ma in modo pretestuoso (almeno in origine) per far si che Tu possa elevare le considerazioni sul tuo passato.
Ecco allora che le amarezze possano tramutarsi in fortune, in segmentini di vita che quantunque brevi ti segnino nei tempi e l’essenziale che rimane a distanza di anni è solo l’emozionale che ne deriva, oggi come ieri, adesso e sempre: un autentico turbinio sentimentale che ti ha regalato il destino laddove non era nemmeno scritto e pertanto poteva anche non essersi mai manifestato.
Ed invece quella patinatura leggiadra nonché velatura dolce del tuo cuore c’è sempre stata: eri lì in attesa di un segnale di cui il fortuito incontro – quello che il behind the scenes di Hollywood chiama serendipidità – ti ha gentilmente omaggiato…
Ma guai a dimenticare che (forse) non era scritto e che (magari) non era giusto accadesse: non lo meritavi ed è stato un plus in dono che devi custodire a vita per continuare ad impreziosire la tua di vita! E per farlo non devi crogiolarti nella tristezza amara ma assurgere con quel “tizio” a me tanto caro che è il #sorrisonascosto che ti osserva e ti copre le spalle con cura mentre Tu ti incammini fra distese di tavolini e sedie verso nuovi lidi…
E ove la tentazione del tentennare sarebbe forte con tenacia occorre ripetersi che non puoi anzi non devi esser triste; non devi e non puoi fermarti assiso senza meta quantunque Tu stia scrutando l’orizzonte. Un orizzonte divenuto consapevole grazie ad una consapevolezza che non è una mogia realtà d’espressione ma una categoria paladina del riscatto nella costanza dell’esser se stessi, senza troppi bizantinismi di facciata né “come se” che non siano dei veri “come se”, ma unicamente col quovadis esistenziale del proprio passo!