Riflettevo l’altra sera col tappetino musicale giusto…
“Arrival the birds”
colonna sonora delle serate “giuste”, quelle in cui è…giusto analizzare cosa non vada, dove andare, se cercare, perché affannarsi e quando decidere di tornare a rinchiudersi nel proprio piccolo castello dei sogni.
Ma attenzione anche alle porte del primo grande conflitto mondiale si parlava di “Castello dei Sogni”: me lo ha ricordato l’altra sera il mitico Andrew, mentre giocava con dei gatti per strada, super gaudente nonché ispiratissimo per l’ennesima figura pessima della Juventus.
Io, tuttavia, ho ormai da anni deciso di chiudermi in un castello diverso.
Un recinto che sappia proteggermi da tante pesanti situazioni.
Con un tetto in grado di trattenere nubi tetre smaniose di pianti depauperanti.
E se incombesse una rassegnazione cosmica, avrebbe in anticipo la carta risolutrice, sotto le sembianze del mantello della consapevolezza.
Certo, nel profondo del mio intimo so che trattasi di un equilibrio più folle che sopra la follia. Ma il trucco è saper stare alla larga da meditazioni troppo impegnate, mantenendo il proprio cervello vigile e pronto a reagire fuggendo allorché intuisca che si sia troppo vicini ad un vissuto sofferto fatto di passato e presente, presente e passato.
E il futuro?
Sapete (e state anche or ora vedendo, sentendo, ascoltando) la mia passione per la scrittura e pertanto le parole dovrebbero esser pane per i miei denti, nonché da me dominate a menadito. Ed allora? Quovadis?
Perché non esternare la sintesi declinata benissimo nel quotidiano della professione, anche nei propri sentimenti?
Amarezza. Solitudine di fondo. Tante ferite anche nel recentissimo passato. Porte chiuse in faccia di soppiatto senza troppi preavvisi o convenevoli. O peggio ancora con il chirurgico sadismo da vendetta alla Scerbanenco. Fardelli infiniti intenti a rincorrersi di notte e di giorno, di giorno e di notte…
Teorizzavo qualche tempo fa e condividevo con il mio angioletto custode l’opportunità di lanciarsi un po’ di più e togliersi una delle tante corazze pseudo-protettive di cui ci attorniamo nel fluire lento della vita. Una lentezza resa da un anno a questa parte ancor più amara dal non aver più a portata di mano quegli svaghi minimali ma essenziali.
Come incentivo al che la paura potesse bussare alla porta del coraggio e farsi aprire svanendo, si potevano scegliere vino (tanto), cibo (quanto fosse bastato) e chiacchiere filosofeggianti (poche…forse, ma estremamente buone e anti-mal di testa provate e riprovate).
Ma invece la realtà ci impone canovacci differenti ed ergo è giunto il tempo di tornare ad antichi schemi più affidabili benché di primo acchito molto meno appaganti. Schemi che mi fanno apparire forte più agli occhi degli altri che dei miei, magari. Pur tuttavia, credo che sia giunta l’ora, gambe in spalla, di ritornare a spolverare quel meraviglioso trucco di teatralità auto-persuadente che ha reso un mero artifizio nato soltanto per difesa all’indomani di mille disavventure e pentimenti, il vero protettore dei miei passi nel mondo. Quel mondo che col covid sembra essersi annientato e scomparso, quel mondo che correva troppo più di Noi e delle Nostre vite, quel mondo che tornerà a splendere spero il prima possibile senza alcun lock-down.
Anzi.
L’unico lock-down consentito sarà quello della mia trincea, ove rintanato fra limiti e timori del mio lato emotivo più profondo, riprenderò a fare il saggio in equilibrio fra mille antitesi semantiche semi-perfette, stando rigorosamente alla larga anche da quelle piccole e tentatrici divagazioni fugaci con le sembianze delle libere-uscite emozionali!