Lo spunto di riflessione dopo più un mese d’assenza dagli scenari del blog dovrebbe esser un condensato di una miriade di contenuti vissuti e lasciati lì in un angolo in attesa di esser (ri)vivificati.
Forse…
Perché la desertificazione che i tanti miei nemici provano a fare da tempo attorno e nei miei territori è stata fortemente dirompente negli ultimi giorni. Nemici reali seppur identificabili non solo in persone ma anche e soprattutto in processi, in percorsi, in quel guazzabuglio organizzativo che ogni giorno mi affligge nel suo iterativo passare e ripassare. E’ un po’ come trovarsi in quei sogni inquieti in cui lo spazio si piega su stesso e ti fa scivolare via con movimenti improbabili.
Ecco allora che perso il centro della scena si vaghi alla ricerca di un non so che con dei bruschi passaggi dalla densità totale alla rarefazione assoluta e viceversa, mentre dentro di te monta ed imperversa sempre più forte un cratere.
Affrontarlo puntando dritto al suo cuore sarebbe annichilente; meglio quindi studiarne i bordi con pazienza. Ovvio tuttavia, che bruci e bruci tanto riflettere sul perché e sui per come sembri spuntarla sempre (o quasi) un distorto monoteismo interpretativo del merito, ove i mediocri sono osannati.
Ed in questa passeggiata lugubre nello sconforto, circondato a destra e sinistra dallo “spettacolo” dell’inettitudine, inizia ad impadronirsi delle tue membra un vago senso di straniamento, un mix tra deriva e galleggiamento al quale provi ad opporti con una strategica decompressione che però è ahimè il prologo del decentramento dispersivo dell’esistenza.
E quindi? Quo vadis?
Di sicuro, non esiste una vita o una carriera senza rimpianti: bisogna limitarli. Il che detto in modo diverso potrebbe suonare come: <<con le scelte cruciali non si fa mai zero-a-zero: o si vince o…non diciamolo nemmeno!>>
Eh sì, non diciamolo.
Cerchiamo invece con insistenza quell’apri-scatole emozionale di un impenetrabile (quanto meno all’apparenza, nds) chiavistello professionale.
E i mediocri?
Ora non importa controllarli con ortogonalità. Non dobbiamo infatti soddisfare le paturnie di una sorta di mitologia della ratio. Risulta invece lineare credere che sia il sistema a chieder loro di esser così: un binomio pressoché perfetto quanto ossimorico tra linee curve e rette, oblique e tangenti, in un contesto volutamente debole, etereo, indecifrabile…
E per di più, i calci in faccia che il merito riceve dai mediocri non vanno inquadrati coi se, ma al limite solo coi quando, rinviando al mittente, giocando con gli specchi e la geometria del simmetrismo, quanto ci sia oggi di inintelligibile ed attendendo sulla riva del fiume non tanto il cadavere del proprio nemico quanto un sorso d’acqua proveniente dal deserto capace di giungere al centro del cratere di sui sopra ed in modo fantasmagorico resettare come un antidoto uno spazio ruvido e tenacemente anonimo.
Ed ora che tutto è liscio, occorre nel vuoto ricucire il tempo offrendo un attracco nel fluttuare della smaterializzazione ad una semiologia che è divenuta molto più forte dell’ideologia e può finalmente restituire profondità a quello stesso spazio che altrimenti resterebbe drammaticamente piatto, nelle apparenze e ancor più nella sostanza.