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Il passato è passato (per fortuna)

Ecco a Voi un mio omaggio a un’amica che da alcuni giorni ahimè non posso più contattare con messaggi terreni. Non importa svelarvi il nome ma vorrei celebrarla perché in fondo so che, volendomi molto bene, apprezzerà che io stia pensando a Lei nonché ad un affetto a Lei molto caro.

Qualche notte prima delle sua dipartita avevo fatto un incubo. Sul muro davanti al mio letto c’era una iena lugubre che mi intimoriva e di lato, nel tentativo di fuggire, mi spariva la porta.

Tuttavia, ho un ricordo nebuloso dell’accaduto ma tante altre volte gli incubi, per tutti Noi, esemplificano paure o dei non totalmente risolti delle proprie vite: classico il non riuscire neppure a svegliarsi per allontanare le ansie da vissuto infausto notturno. Ad esse, la mia amica protagonista dell’odierno cammeo avrebbe dato una serie di risposte sulla scia del titolo (che a qualcuno/a nel leggerlo strapperà di sicuro una lacrima, ma spero di gioia, nds):

Se hai una cosa dentro falla accadere sennò ti distruggerà.

Oppure

Laddove si ama non cala mai la notte!

Poi, dopo avermi ristorato mi avrebbe confessato di esser preoccupata per sua figlia e chiesto in virtù del mio saper legger gli sguardi se anche io la vedessi piena di dubbi e ansie che si potevano contare ad una ad una. Aveva l’impressione che avesse intrapreso ultimamente una tattica di manomissione delle parole allo scopo di aiutarsi a sopravvivere e soprattutto volendo tutelare l’ “innocenza” dei propri cari cercava di tenere a bada la sua vera istintuale empatia senza far trasparire nulla all’esterno.
Ma Lei lo sentiva…

Ed in fondo anche io.

Il motivo sostanziale, poi, è che la verità sia come il sole: si può nascondere per un po’ ma non per questo scompare. Ecco perché io stesso vivo molto spesso nell’angoscia che qualcuno scopra cosa io abbia dentro per davvero…
Anche perché ho ormai trovato un equilibrio che mi concede di non farmi troppo scalfire dalle molteplici avversità ed insoddisfazioni: il mio piccolo grande segreto della vita!
Il segreto di saper trattenere i momenti belli come ad osservare il mare di notte: senza ferite.
Una super strategia atta a nascondere nei surrogati d’espressione della propria indole i momenti d’angoscia e le lacrime di difficoltà.

Ma come direi oggi ed in futuro a chi da lassù mi sta osservando: il rumore della paura non avrà mai casa nel vissuto di sua figlia perché io le promesse le mantengo e Lei inizierà a sorridere magari di nascosto avendo capito a cosa io mi riferisca…
Ed io, al contempo, finalmente potrò ritrovare la porta d’uscita e osservare che in fondo quel quadro tetro di fronte alla testata del mio letto è adesso girato e non può più tenermi testa!

battersi contro l’idea di perdere

Siamo stati Uno (quando eravamo soli a casa), Nessuno (di fronte alle mille avversità) e Centomila (quando volevamo sfogar paure sui social, spesso con ipotesi astruse).

Siamo stati anche Tutti un po’ pazzi (non per Mary!) se non addirittura impazziti a seguito della miriade di fake-news che spesso abbiamo (ahimè) sposato e seguito.

Siamo stati infine anche in perenne ricerca della Nostra Piccola Stella senza Cielo…colei che potesse ristorarci giornate buie, orizzonti grigi e forze flebili.

Nessun bipede senziente è passato indenne e poco o tanto ha subito i contraccolpi inesorabili dell’emergenza #corona. Tale sostantivo ci faceva pensare fino a pochi mesi fa soltanto a teste regnanti o poco più, ma dal giorno di Codogno in avanti è divenuta, per Noi italiani, reale in quanto sciagura.

Ci ha fatto scalare i Nostri Everest personali, esteriori e specie interiori. Ci ha reso abitudinarie azioni e/o situazioni che i più avevano solo letto o ascoltato (in forma anche ben più drammatica per onestà intellettuale) dai racconti di guerra: coprifuoco, immense file davanti agli store di generi alimentari, dilagare della povertà.

L’immagine che è più veloce della parola saprebbe esprimervi molto meglio tutto ciò e vi fornirebbe davanti agli occhi la sensazione vivida di tante vite giocate ai dadi

E ad ognuno di Noi spetterebbe anche di ricercare speculatori e giocatori dell’oggi, dello ieri e chissà del domani. Per ognuno potrebbe esserci la tentazione di trovare i colpevoli di questo “gioco” al semi-massacro. Al contempo, ci sarebbe chi sceglierebbe la via del silenzio e della riflessione intima ancor prima che interiore: un’elucubrazione per i più fine-a-se-stessa ma che nella sua eleganza rarefatta permetterebbe di evitare ulteriori angustie derivanti dall’osservare la così vasta pochezza riflessiva che ci attornia.

Semplificare è infatti utile, sovente; pur tuttavia, può trascinarci ancor più lontano dalla meta…

Una meta esemplificata dal castello dei sogni di ognuno di Noi, il quale per non andare in frantumi necessiterà di un abile maneggio dell’irrazionale bonificando l’immaginario da Tutto ciò che è rabbia ed al tempo stesso, trasformando quest’ultima in disseminazione di contenuti seri (laddove e per quanto, ancor oggi, possibile) ed azione vivificatrice reale.

Reale. Realtà. Parole che ritornano sul sentiero della possibile rinascita a patto che si conoscano yin & yang, accelerazioni e (parziali) frenate, equilibrio!

Ed eccomi qua, eccoci qua: tra il sopraffatto e lo stupito dopo mesi passati a flirtare con la verità, proviamo ad addentrarci nel bosco dei misteri spezzando il pane della conoscenza e non abbeverandoci unicamente ai post del web.

E’ questo il mio editto-quovadis per le fasi post, quelle del futuro: con o senza numeri, accompagnate da o senza inutili vessilli politici da tornaconto (spesse volte) infimo, ma ben consce circa il battersi contro l’idea di perdere…Tutti!!!

l’anabasi che è catabasi

Oggi la mia parentesi riflessiva partirà con un focus su coloro che non fanno una singola cosa che gli sia stata detta, ma solo quello che gli passa per la testa.

Testardi? Forse…

ma riduttivo. Vale a dire che potrebbe anche esser un segno di personalità e “carattere” forte. Ad esempio, in tanti, sul tema calcio non hanno tanta voglia di discutere con la Volpe e a volte aggiungono che con Lui, Tu non possa proprio discutere né di pelota né di politica in un ineludibile gioco onomatopeico.

Ma è proprio tra tali suoni e/o onomatopee che può nascere la svolta, ovverosia il quovadis espressivo odierno: quello che transita attraverso un’anticipatoria e progressista intelligenza condivisa, un intercambio culturale senza pari in virtù del suo esser senza fretta ma al contempo senza tregua e con potentissime ragioni.
Ecco allora che in un battibaleno la concezione di calcio dell’amico Andre, per me un tempo morto nel crogiolo della sua bellezza, finisca per auto-liquefarsi in una mia abiura che nemmeno Galilei saprebbe giustificare…

Pertanto, la ricetta sta nel creare un modello rivoluzionario di pensiero che mai si stanchi di inventare nuovi cliché, dimostrando via via una feroce attitudine al lavoro, capace di reggere in perfect style Vate (mio altro Mentor) alle più logoranti sessioni.

Trasformismo? Forse…

Ma chi l’ha stabilito che sia un male? Le folle obbligate a schierarsi e a stabilire da che parte stare sono state negli anni dei “regimi” democratici delle vere e proprie dittature (in)consapevoli, capaci nel gioco delle loro fascinazioni intermittenti e/o dei quasi nevrotici rituali di rifornirsi continuamente alle fonti della collera per fabbricare intensità e contenutistica.

Ma tali rivalità-leggenda sono risultate così tanto iconiche quanto inconsistenti all’accezione che le aveva “create”.

Ecco perché l’anabasi è stata in realtà solo una catabasi ed oggi come ieri (e si spera non domani) le vittime sono state in realtà carnefici ed i viziosi cattivi del presente altro non sono stati che i puri incattiviti del passato.

Il punto è che sia stato ieraticamente ed acriticamente tramandato un vangelo “messianico” ove l’ignoranza di ciò che si era stati nonché l’illusione di un nuovo inizio (invece sempre più simile al passato) ha sempre dimenticato la razionalità e lo studio, preferendo una “libertà da servo” (cit. dotta) che mai e poi mai ha voluto lanciare un vero grido d’indignazione!

una forma non formale

Il Natale è alle porte e tutto sommato sommamente (cit. Laura & Luca) tutti Noi lo affronteremo.
No, non voglio farvi un “pippone” retorico che una simile intro sembrebrebbe annunciare…quello lo lascerò fare ai tanti individui che succhiano pesantezza da quando gli diedero il primo biberon e che per di più, per una successiva mutazione genetica, furono colpiti (molto spesso) da virus della «gigantite»!

Io mi limiterò a ricordarvi che in questi giorni passeremo tante ore attorno a tavole imbandite e non lo dico come cardiologo che ha a cura i tanti fattori di rischio (e quant’altro): lo faccio per fornirvi la prima slide, quella tipica delle occasioni importanti, vissute per l’appunto attorno ad una tavola Tutti assieme, in Famiglia!

Nostro compito, a ciascuno il suo direbbe Sciascia, sarà quindi il preparare le successive slides!
Ci saranno quindi coloro che da liberi decideranno di glorificarsi nel peggio, ci sarà anche un qualcosa che esemplificherà una delle principali discrasie dei nostri tempi quale la rigidità delle troppe burocrazie ed ancora magari da un angolo lontano interverranno con borbottii e/o lamentose lamentele “carnefici” impersonificanti però il ruolo di vittime: a costoro io risponderò come farebbero i miei Mentor

i rimproveri degli scansafatiche divengono per i grandi lavoratori (quasi) una medaglia

E quindi come da tragica e consumata abitudine ricorderò, fra le righe, che la rivolta sia la forma di espressione di chi non venga ascoltato, quasi sempre. E sarà quel quasi ad occupare la scena nella sua slide (del pre-finale) e a risvegliare nell’animo il sussulto della coerenza che non va mai tradita…

Solo così si può prendere il mondo per il bavero attraendo maggior magnetismo attorno alla propria figura: un campo gravitazionale nato dall’eco dei propri principi, le proprie origini, le proprie idee, che potrai anche rivisitare ma mai sbinariando dai consigli di qualche “anziano” leader più conclamato quali sono per me Franco & Vate, per esempio.

Sarà questo il quovadis che rischiarirà l’altra metà del cielo ponendo la sua meta nel graffito (anche reazionario) e non nel disegno (conservatore), ma al tempo stesso avendo ben presenti a mente che le fondamenta della reazione devono nascere dalla tradizione, colei che non mente e che vogliamo oggi vivere nella sua splendida forma non formale!

soffi di vita

Avete presente quel tipo di personaggi che ti descrivono una cosa e Tu quasi che fosse magia, la ricordi tutta la vita?

Beh, è così per Franco il collega regalatomi dal mio recente approdo nella nuova sede lavorativa, che oramai da qualche mese mi regala pepite preziose quanto i gesti del Vate o le frasi del Volpe.

Soffi di vita di uomini comuni ma non troppo, vera espressione di temerarie epifanie di gusto totale e pertanto totalizzanti.
Soggetti capaci di improvvise ed impreviste svolte, talora col gusto macabro ma genuino per l’estremo, ma in ogni caso sempre aggrappati ad una routine d’altri tempi in un mix (quasi) perfetto di indifferenza e di dolcezza.

Ecco che allora in dosi e momenti diversi tutti e tre, anzi quattro aggiungendoci anche il mitico Bodox (che ci “calza” alla perfezione), mettono in scena sfumature variegate a cui io possa giornalmente ispirarmi…
Andrea, il più delle volte nei panni del suo modo comodo di vivere sparendo quando occorra dietro le quinte, Bodox & Stefano mattatori invece di frasi che ovviano in caso di necessità alla scarsezza di parole adeguate e dulcis in fundo Franco, immerso nella sua riservatezza schiva ma immenso nella sua latente inquietudine fiammeggiante.

Tutti indistintamente sempre capaci di incuriosirmi e stimolarmi!

Ma oggi il quovadis sarà altrove da questa iniziale serie di considerazioni o meglio sarà parallelo ad essa: sarà un rompere gli schemi grazie all’enfasi degli insegnamenti quotidianamente da loro ricevuti, per ritrovarsi in quel vuoto che se da un lato non è affatto confortevole e mi fa oscillare fra senso di fallimento ed estrema esaltazione, dall’altro è di sicuro l’ineludibile anabasi a cui mi sento legato molto più di quanto forse volessi o sperassi. Oppure detto in modo diverso, è il mezzo per perpetrare l’ostinazione che è per me catarsi e mi caratterizza più di ogni altra indole.

Solo grazie a loro potrò aggiungere il tassello mancante e cambiare la prospettiva attuale con una danza coordinata che faccia ballare in me la scelta della giusta compagna di vita: è da loro che attendo dunque, con un modo dirompente di entrata nella vita, che mi si chiarifichi quanto prima se io sia in una strada ed un percorso che non mi appartengono…

E benché il dado non sia ancora stato tratto, l’obiettivo si: ovverosia la ricerca di qualcosa che valga di più che un comune giro di stagione!

l’enfasi del pensiero

E se ci mettessimo a cercare un farmaco contro il degrado culturale?

La riflessione è partita dalla cena di ieri sera ove come sempre Andrea ha pennellato; ho altresì considerato che stasera potrò abbeverarmi alla sorgente contenutistica del Vate.
Ergo, iconografandoli come due veri Capi Naturali o se preferite due leader del ragionamento prezioso (quello da mettere in pratica senza sé e senza ma) sono giunto alla conclusione che grazie al confronto con loro le mie valutazioni siano davvero salite di gamma negli ultimi anni e potrei brevettare il loro apporto come il mio Santo Graal. Una sorta di modello casa-cassaforte non subordinato agli agenti “atmosferici” che piovono su di Noi per via della pochezza che spesso (ahimè) ci attornia.

Ma non è tanto l’ignoranza colei che sto or ora ripudiando quanto l’arroganza di chi è davvero tanto distante dal dare il giusto lustro al pensiero. Una distanza che il più delle volte ancorché tecnica è umana.
Del resto, da che mondo è mondo, gli arroganti aggregano con molta più facilità dissensi, o no?
In un mondo magari ideale la risposta sarebbe senza condizionali affermativa, ma l’odierno sparring partner naturale (forse sarebbe più opportuno il termine innaturale, nds) di quel globo ci pone dinanzi a format e forme tanto differenti da quelle celebrate soltanto pochi lustri or sono e pertanto quovadis?

Lapalissianamente, mettendo a sistema le mie prime considerazioni si potrebbe asserire con una più che buona dose di certezza che sia l’enfasi del pensiero la mia metà serale. Ed infatti il titolo sembra suggerir chiaro ancor prima che parlare…

Ma c’è un però, ovviamente. Anzi forse più che uno.

Di sicuro per il mio sentire, è la cultura che governa e stimola l’espressività ma per qualcuno potrebbe esser solo un banale esercizio fine-a-se-stesso che io conduco per manie di protagonismo.
La verità, come spesso capita, può anche star nel mezzo ma ecco li che di consensi non ne stia aggregando per tornare a qualche riga più su.

E quindi?
Tutto in discussione come sempre sulle mie dissertazioni “folli”?

No. Tutto più sincero ed immediato di quanto non sembri. Cerco di semplificare e tornando alla tematica dei consigli e dei confronti Vi dico con forza che l’ascoltare i consigli di amici come Vate e Volpe o l’esser ascoltato da mie Muse ispiranti alla ricerca di preziosi approdi, mi fornisce la sensazione benefica di essere alla Sistina mentre Michelangelo la dipinge…

E con questa metonimia immaginifica sulla cappella vorrei cullarvi oggi: uno scatto di puro colore che è similare al dire che ognuno di Noi abbia bisogno di angoli di riflessione (ed anche di dissenso) ove poter comodamente coltivare la propria ecologia lessicale a mo’ di radice che riceve l’acqua del sapere dal sentire gli altri e si fortifica drenando energie vitali dal sottosuolo delle proprie emozioni così attivate!

Ecco come il “vero” dissenso (ovverosia inteso nella sua accezione dispregiativa) venga dunque riversato sul popolo dell’arroganza e ci conduca attraverso il più attiguo sinonimo, il distacco, oltre l’ostacolo della superficialità con questa massima finale: mai lasciar sola la nostra intuizione rinunciando a priori alla consultazione poiché ciò può mietere facili vittime in quanto l’audacia scriteriata è stretta parente della supponenza.

Ed il circolo vizioso, scampato, degli arroganti coi dissensi può finalmente ritenersi chiuso!

i singoli istanti

Si incrociano tante persone, anche episodiche, nelle vite, ma non è il tempo a farla da padrone quanto la capacità di capire verità profonde scrutando negli stessi individui in cui ti imbatti o dal connubio tra te e loro.

Il tempo è invece utile a posteriori. Nelle riflessioni e nell’assaporamento emozionale delle pieghe avvistabili lungo la scalata denominata vita. E prendersi, ogni tanto, quei secondi per sé è d’importanza inderogabile.

Si possono gestire tanti (ma non tutti) momenti della vita: si può desiderare, pregare, sperare ma alla fine si tenta la “fortuna” messianica guidati dall’istinto figliato in quegli attimi di riflessione, tra il tuo Io e l’universo che ti ha stimolato.

Spesso scrivere mi aiuta a capire me stesso scavando dentro le mie apparenze!

Ritengo sia come una lente letteraria che focalizza le priorità al di la delle apparenti ed ineludibili contraddizioni. Ma per far davvero bene ciò occorre che ci siano dei facilitatori, degli attivisti emozionali che sappiano sussurrare nel tuo fracasso mentale ottenendo pur tuttavia di trarci in salvo da quel carcere a cielo aperto in cui si cade quando il nostro scalare si costella di piaghe.
Pieghe, piaghe. Comunque vita. Una pianta molto fragile che va innaffiata tutti i giorni.

Ed ognuno di Noi percorrendo vie parallele a quelle degli altri ha l’opportunità di vivificare la propria esperienza e soprattutto di conoscersi, come vi dicevo poco fa.
Ma cosa accomuna le diversità fra individui in termini di passioni, scelte, inclinazioni?
Non banalizzando e continuando ad argomentare eccovi la mia risposta: il viaggio definito vita. Quello che ho iniziato a tinteggiare poche righe or sono. Quello che ci permette quando abbiamo un tempo per Noi di rileggerla e…
magari tra le tinte grigie rivedere scatti maledettamente belli, icone che la seconda volta che le mandi in lettura ti appaiono così diverse dalla prima e divengono stile.

In tale viaggio abbiamo bisogno però di chi ci coadiuvi, di tanto in tanto, nel portare lo zainetto dei pesi della vita. E questo mutuo soccorso sotto traccia può coinvolgere tutti.
Non occorrono lauree e master, non servono galloni e denaro, c’è bisogno solo di…crederci!

Domani ricorrerà una data triste ad una prima lettura, poiché Marietto ancora ci manca molto (e sarà sempre così con personaggi di simile caratura), ma la seconda analisi mediata da chi mi sostiene amichevolmente nelle scorribande perigliose in cima alla parete è che la vita mi ha regalato altri soggetti meravigliosi e stupendamente bravi nel farsi piccoli tragitti col mio zainetto fardellante.

Penso al Vate, un personaggio che Pirandello avrebbe definito molto meglio di me, come un uomo a tratti così mansueti dall’indurre i superficiali al non sapere se potercisi fidare.
E che dire di Andrea. Uomo moderno con la stoffa d’altri tempi (del resto ho l’onore di conoscere il babbo e la genetica è davvero lapalissiana, nds) che definirei come uno studioso della vita, assiso tra l’unico e l’originale e capace di entrare sempre dentro l’idea.
Aurel è invece una sorta di Amleto calmo sopravvissuto a tanti dubbi e tormenti.
Bruno mi insegna da sempre cosa sia l’attimo nell’arte…TANTO!

Dovrei e potrei tediarvi ancora, a dismisura, ma cozzerebbe con l’esser sfuggente dell’attimo…
Ciò che è ineludibile è che Tutti i miei amici di cui sopra, mi hanno affrescato una ricetta quasi magica con un unico ingrediente e colore principe, usare il…TEMPO della vita come modo per lasciar qualcosa ai posteri, il che significa sopravvivere alla morte per sempre (come ha fatto Mario) al di la di dubbi, paure, remore.
E del resto nel mio immaginario di sopravvissuti per alto contenuto ce ne sono…ad esempio anche Willy Vincenzo a cui già ho dedicato dei piccoli cammei (strameritati): in Lui le chiavi di volta furono matematica e geometria, punti particolarmente elevati delle nostre architetture cerebrali.

Ma torniamo coi piedi per terra e proviamo a tracciare, rigorosamente a mano libera, una linea di pensiero che sia la più chiara e spendibile nel quotidiano.
Come ho drenato da papà e mamma, negli anni, è necessario imparare prima di insegnare, capire e sentire l’altro che abbiamo di fronte. E’ come se uno stato d’animo contenuto ma in attesa, si possa improvvisamente svegliare nel momento in cui, personaggi del tenore di cui sopra, si affianchino al rumore silenzioso dei tuoi passi e con un assordante forza luminosa ti concedano di spingere il limite umano oltre i “percorribili” abusi della psiche

Ecco allora che tu nel tuo incedere stanco e con la vista appannata, riesci a fermarti appena e torni in un modo misteriosamente concreto ad esser elegante nelle costruzioni mentali palesando i remoti segni di sofisticatezza percettiva, assopitisi nei meandri del tuo itinerario verso le vette.

Serviva davvero poco ai tuoi tempi, al tuo tempo. Occorreva l’amico trainante i pesi per un attimo su di sé, in modo da renderti di nuovo attento osservatore della realtà e pertanto in grado di ri-leggere il quovadis anabatico: l’epica del ritorno dopo essersi inflitto disgrazie con le proprie smodate scelte. L’epica derivante dalla minuziosa cura de

I singoli istanti nella circolarità del nostro microcosmo di vita

empatia: dress-code di vita

Partiamo stavolta dalla fine o quasi. Iniziamo da uno dei miei più grandi tormentoni ovvero il quovadis: tipica icona  delle pagine blog.

Riflettevo giorni fa su di un fatto: se l’ignoranza si maschera da libertà di scelta, dove andremo (alias quo vadis)?

E’ uno dei quesiti che attanagliano sempre più il nostro mondo e sono nient’altro che la cartina al tornasole di un certo moderno decadentismo (anche non troppo latente) dei modi ma anche del merito aggiungerei. Una palese resa anziché una proattiva ed utile redde rationem. Un abdicare al qualunquismo privo d’argomentazioni degne di tale nome. E ciò che alimenta al negativo la spirale d’insuccesso è il circuitare ed anzi cortocircuitare attorno ad un’ipocrisia minimizzante, che però, inesorabilmente ruggisce sommessa.

Un amico l’altra sera mi diceva

la luce riflessa è pur sempre meglio dell’ombra

ma c’è un però…
da dove (che fa da contraltare al nostro, verso dove, di cui in apertura) provengono i nostri gesti, le nostre aspirazioni, i nostri contenuti?

In tanti professano l’ “arte” de

l’importante è non staccare il piede dall’acceleratore

per poi venire giù come un frutto maturo alle prime avversità.

Altri sono solo fanatici dell’ultima ora che cavalcano facili mode senza conoscerne la benché minima parte espressiva. E questo fanatismo dilagante in lungo e largo fa paura. A dire il vero, ciò accade proprio in virtù di un’ossimorica nemesi che rende il percorrere queste vie fanatiche più forti delle paure stesse.

Insomma, è un codice nascosto sotto traccia che prende linfa da una mastodontica opera di sottrazione dalle proprie responsabilità ed anziché render vitale il mondo attraverso i sentimenti viene tutt’al più perpetrata una liturgia dei sentimentalismi asfittici.
Interpretatela come l’abiura dei cuori poiché sembrano più facili e meno dolorosi sentieri da percorrere, ma tuttavia credo occorra (anzi ne sicuro) un novello demiurgo che rischi le proprie idee e contribuisca a risollevarci tutti dalla polvere.

Per me appare assurdo un mondo simile: io mi “eccito” ancora nel leggere un libro, dialogare e scontrarmi su politica ed attualità, commentare un film, trovare e cercare citazioni dotte di filosofi, storici e personaggi del passato…
Ed allora perché non provare a trascinare anche altri?
La ricetta non è irrealizzabile ma passa attraverso degli step ineludibili. Innanzitutto, mai farsi abbindolare da chi è già cadavere fuori dalle nostre porte e storie di vita. Giammai rincorrere il vento sfuggevole o crogiolarsi nell’austerità espansiva. Utile invece in un’attuale senechiana vision metter davanti i fatti alle parole; costruire tali fatti con un’euristica attivazione salvifica delle abilità trasversali; non condannarsi dunque all’irrilevanza inseguendo in quantità industriale parabole reiette.

La chiave di volta?

Importare chiavi in mano dal proprio cuore le energie necessarie per abbattere atmosfere grigie, tetre, sospettose.

Impossibile?!

Se usassimo il codice di cui sopra, quello che tendeva ad autoeclissarsi, la risposta non può che esser confermativa,  ma l’affermativa è dietro l’angolo e mi riferisco all’empatia: il mio (e spero da oggi nostro) dress-code di vita!

 

prima le risposte delle domande

Bisognerebbe fare scorta…
Ma di cosa vi starete chiedendo.
Attendete cari amici. Del resto, oramai conoscete il mio stile pieno di contraddizioni e per tale motivo dai più apprezzato…

Eh già, perché forse dentro ognuno di noi si combatte, a fasi alterne, fra racconti domestici ed edificanti versus arti ambigue e fantastiche. Ed in questa lotta che a lungo andare diviene sempre più leit motiv, alcuni si autoconvincono che tutto il male gli sia attorno e tutto il bene dentro; taluni altri, invece, si concentrano e dedicano le loro vite a quelle significative invarianze a mo’ di Santo Graal, in attesa del nulla in una sorta di indigenza atavica.

Ma ciò che è bello è che, messi di fronte su un terreno di gioco, non vincano né gli uni né gli altri: occorre altro!

Serve lanciare in aria il guanto di sfida restando di tendenza a dispetto di ogni parere altrui.
Per render possibili realtà difficili (quasi) per chiunque c’è bisogno di qualcosa di estremamente più lampante quantunque di più immediato: un impasto di arte e contraddizioni, per l’appunto, che sappiano calamitare su di se ogni temporale.

Genio, sregolatezza, incoscienza, errori anche; e qualcuno da pagare semmai a caro prezzo. Un’autentica polverizzazione non dissipativa sotto un lucernario lercio dissoltosi in fretta e svelatosi appunto nelle sue spoglie spettrali. Il tutto convogliato nello spazio vuoto, nel contrasto struggente fra agonia di questo presente e vitale pienezza del recente passato. Un vizio, un inquietudine, di chi il destino se l’è spesso giocato a dadi perché succube del proprio magnetismo voluttuario che spesse volte si è imbattuto in collassi terremotanti nell’oblio.

Ma qual è dunque il quovadis odierno?

La sintesi di quanto finora argomentato sta nel modo in cui l’ambizione sappia sedimentarsi nel patrimonio genetico in attesa dell’anabatico e violento segnale di svolta: quell’immensa ondata di speranza che si proietta nell’illusione e vince sulla dura risacca dell’avarizia nel momento in cui essa vira nella ferocia.

Eccolo il poco che è tanto ed il tanto che è poco…

E quando riavvolgendo con più calma il nastro, ci si accorge dei dettagli, ecco che emerga che varcato il confine che separa la condizione dello spettatore dalla sensazione di essere bersaglio, si scorga soltanto una polvere che sa di rovina: un deserto che pur tuttavia può essere matato (forse solo) con i mezzi abbacinanti dell’affabulazione seduttiva.

Un’unica avvertenza: mai approcciarsi da convalescenti verso chi in faccia abbia scritto ricaduta. Meglio, virare e mettere le risposte davanti alle domande in una sorta di apotropaico andare oltre tutti gli idealismi e realismi…

situazionisti dell’emozione

Si potrebbe iniziare con un intercalare di sommiana memoria quale “Che fatica!” oppure subito virare ed entrare a bomba sul tema di serata.
Certo in molti staranno attendendo con suspense una famigerata pagina numero due dei miei destini lavorativi e qui potrebbe esserci un’ulteriore virata.

Ma andiamo per gradi. Senza fretta. Del resto, tutti sanno che il mondo è un libro e chi non viaggia ne legge solo una pagina.
Un viaggio concreto o situazionale ed ipotetico, ma sempre tenendo bene a mente che se tu sai dove fermare il treno tutto corre liscio sennò il rischio di schianto è pressoché un’ovvietà.

Dove eravamo pertanto rimasti?

Si, forse vi stavo raccontando che avevo tagliato ogni ponte con lo spirito, con la garra, nonché mollato definitivamente la causa “persa” del tentare inerme di far riflettere chi si trovava in cabina di regia; non mi restava dunque che suggellare il tutto rompendo ogni legame con la fedeltà a quella complicata rete di entropia: un disordine dominato dalla psoriasi del merito e dell’educazione, ben visibile in coloro i quali si prefissano un salto di qualità mediocre su di un solco di un banale continuismo tra velleità e fronzoli.

No, aspettate ero giunto già a farvi presente che il sordo battito di quegli ingranaggi all’apparenza così ben oliati era in attesa di una riprogrammazione culturale. Ed avevo pure condiviso che contro quella barbarie vedevo spesso le stesse radici, le stesse contraddizioni ma non coglievo la differenza reale, quel latente vitalismo disperato esaltato da marginali emergenti, con un’intelligenza applicata al margine, allo scarto, in cui ogni tappa, ogni segmento del ciclo conteneva un’invenzione.

Occorreva pertanto solo che si palesasse la forza o forse il coraggio o magari entrambe le cose per abbattere quelle retoriche dell’ostilità in una vicenda di distanze apparentemente insolubili e/o di profonda irriconoscenza.
Avevo dinanzi un giano bifronte che rappresentava pur tuttavia un rapporto più di complementarietà che di concorrenza.
Ma codesta ibridazione delle due attività, in bilico tra immaginifico e reale, impigliati fra i frame di furie divoranti mente ed anima mi stava portando a pensare che la paura mi si stesse addicendo.

Ma se è vero che la forza si alimenta col desiderio di vendetta così come è noto che ci voglia coraggio anche per far qualcosa di sbagliato, il connubio parafrastico delle due entità mi ha finalmente condotto da quell’interiore mio demiurgo emozionale capace di irrompere di getto nella quotidiana asfissia contraddistinta dal sipario calato.

Ecco allora che una storia che non sembrava prevedere capolinea (il famigerato treno in corsa, nds) si metta all’improvviso Lei di traverso al grande gioco degli opposti in plateale contrapposizione con l’urgenza della contrarietà portata all’eccesso, in una quasi eterna lotta da samurai tra energie contrastanti.

Il che, andando al quovadis e sottraendoci alla retorica di maniera in cui le bizzarrie della mente amano mescolare segnali eterogenei, equivale a dire che il nuovo inizio di domani è il regalo di quel demiurgo di cui sopra noto ai più per esser un situazionista dell’emozione che pur di conferire un maggior crisma d’ufficialità ad ogni vicenda la respira dall’inizio alla fine, nel bene e nel male, sciogliendo l’enigma del riconoscimento (suo e degli altri) in un’intrinseca operazione d’immaginazione e ravvicinamento.