Ormai chi mi segue da tempo conosce la mia pazzia sfrenata che con un’infettività proliferante ripudia l’ordine troppo chiuso e precostituito e le sue possibili figure cerniera, amando invece la follia lucida e creativa.
Ecco dunque che metti una sera a cena e…improvvisamente e non improvvidamente nuovi cromosomi assenti nell’antropologia precedente, più sofisticati oltreché più selettivi, inizino a lavorare sotto traccia.
Poi metti un’altra serata di quelle regolate dall’anabasi del contenuto ed ecco che in modo abbacinante tra un tic-toc di lancette spuntino le tessere di un mosaico incluso nel proprio recente orizzonte; una linea che Conrad avrebbe definito (forse) luce scacciante l’ombra dando vita ad un sequel di un romanzo di successo.
Eh già, il successo, la bellezza, il divertimento spesso non conoscono il senso del limite e ci ricordano che ben venga un minimo di sobrio nel solido, ma mai liquefare la vita nell’atarassia asfittica che equivale a dire: ok, un passo adeguato alla gamba ma abdicare unicamente all’aria di bonaccia in cui è tautologicamente impossibile fallire conduce alla “morte” nei sotterranei torbidi delle nostre coscienze. E’ qui che i nomi non danno suono, è qui che sembra domini un vuoto senza oggetto ed è qui che i numeri sono divenuti fiori appassiti ove è stata completamente abolita la grammatica delle emozioni.
Ed allora quo vadis?
La vita ci insegna che i movimenti tellurici delle continuità siano molto più devastanti delle fratture delle contiguità, ma il vero avvocato del diavolo sa benissimo che le continuità amimiche siano pervasive come la gramigna ma a lungo andare portano a ineludibili grumi di risentimento ante litteram, ove bisogna svegliarsi ancorché addormentarsi.
Ecco dunque che occorra mettersi in cammino, anche scalzi se fosse necessario, sfidando quella pioggerellina fine che provava ad accentuare il nostro senso di immobilità inconscia. Ovviamente, tra le pieghe del racconto potrebbero insinuarsi il riflesso di lama di un antico timore, un tradimento nemmeno troppo a freddo, la vendetta di un destino coi panni dell’esecutore spietato che ti risucchia in quel paesaggio chimerico divenuto ormai solo un proscenio del disumano.
Sembra quasi che oggi mi stia ispirando Dan Brown, trovatosi ad aperitivare con Conrad (di cui sopra). L’unica certezza è che la doppia V del codice da Vinci mi sia ieri balenata nei sogni e mi abbia fatto magicamente riflettere sulla W (richiamante una nike vittoriosa) e su una serie di forme geometriche che nel loro sopra e sotto, sotto e sopra abbiano risvegliato anche l’indole matematica del corredo genetico di ciò che fin da piccolo respiravo…
Ed allora eccola lì, in fondo ad una piazza di New York, la radice quadrata che ama farsi chiamare solo per nome ma ci tiene ad affermare la sua spiccata personalità di square passionale: una signora affascinante ed ammaliante che cattura in un grattacielo dei sogni uno dei tanti programmatori del mondo, un omino molto meno ricco di Zuckerberg ma che cerca di brandizzare la sua empatia in una (forse) fantomatica azienda Dreams, un’azienda dove possano prender forma i nostri sogni più nascosti ed ignoti.
Eccolo pertanto digitare “sqrt (dreams)”. Un codice irresolubile per i più, ma l’amico Andrea, risolutore massimo e massivo conoscitore dei linguaggi di programmazione e non solo, mi risolve e svela: sqrt = radice quadrata. E nel gioco all’infinito che ci stimola, eccita e travolge nella chimica delle nostre pulsioni si mettono in fila square, sqrt, spqr e così via…
Lettere di un mondo troppo bello per esser banalizzato negli schemi. Codici troppo coinvolgenti per esser confinati ad un lento oblio. Remore troppe volte annebbianti le nostre capacità aritmetiche (cammeo al grande Willy Vincenzo L.) di tornare a sperare e sorridere come bimbi appena nati (e dopo Willy, eccolo il cammeo al piccolo Simone, a Ilaria e a Ciro) al di la delle nostre radici…quadrate.