la città del desiderio (era un’altra)

Quella sera una pioggia incessante cadeva su Anversa portandosi via tanti sogni che erano stati accuditi per anni. Eppure stando alle guide turistiche e non solo, la città del desiderio era un’altra. Iniziava per A ma si trovava nella limitrofa Olanda. Qui invece in pochi ci giungevano con sogni. Eppure anche alla radio l’ascolto era sintonizzato sui sogni…di rock’n’roll.

Gli occhi erano rossi più dei quartieri dell’altra città con la A. Stanchezza e non solo. Malinconia e delusione. A stento si riusciva a tenerli aperti.
La pioggia ininterrotta proseguiva a tintinnare a ritmo di un blues stanco più che di un rock e cadeva sulle auto in sosta (semi)selvaggia, sui tetti delle case, sui marciapiedi deserti delle strade del centro.
Apice e crollo, trionfo e tonfo: erano le uniche martellanti idee che affastellavano la mente.
Una scena dominata dalla desolazione stanca dopoché per giorni migliaia di pensieri avevano gareggiato nei suoi ragionamenti; pensieri che avrebbero tolto il sonno a qualsiasi persona.

Ma nel momento delle difficoltà escono le persone vere molto spesso in luoghi in apparenza anonimi ma al tempo stesso capaci di trasmettere la serenità all’ambiente. E quella era Anversa, quantomeno nel suo vissuto più intimo.
Sapeva, anzi sentiva, che ci sarebbe tornato da vincente anche se in quel momento il sapore amaro della sconfitta pervadeva i suoi gesti ancor prima dei pensieri.
In un angolo remoto della sua anima sapeva che sarebbe dovuto ripartire dalle uniche vere risorse sempre impareggiabili: la sua resilienza, i sorrisi dei familiari e degli amici veri; insomma quelle conoscenze più nobilitanti, quelle che ti fanno ricco al di là di schemi futili e parole inutili. Immerso in simili “distrazioni” lanciò per un attimo il proprio sguardo oltre l’ostacolo e scorse un cartellone pubblicitario che impersonificava la sbornia di parole che spesso provano ad allontanarti dal mondo reale. Per un (forse) buffo motivo si ricordò che agli albori del suo primo viaggio lavorativo in Belgio fu catturato da una storica ed iconica pubblicità italiana: o così o pomì…che adesso sembrava scandire le inesorabili tappe di quel viaggio in alto mare in balìa delle onde su una zattera insicura, un’imbarcazione solitaria nell’oceano dei dubbi.

Qualcuno di molto vicino aveva pensato troppo poco alle idee e molto, troppo, ai soldi, alimentando un’idrovora che si era mangiata tanti sogni che erano rimasti o solamente teorici o al massimo avevano mosso soltanto i primi passi, come quelli, fortemente incerti e bisognosi di sostegno di figli piccoli che spesso la vita camaleontica dell’oggi porta a goderti poco o nulla.
Mani sul volto si appoggiò allo sterzo dell’auto e tirò su un bel sospiro. Perché la sua mente, terribilmente sola, adesso non poteva fare a meno di soffermarsi su quelle basi fragili e fallaci, su quel mondo fasullo che sembrava si potesse mettere soltanto in discussione? Le ferite prodotte apparivano irreparabili o quasi. Ma in tanti, magari, avevano vissuto come Lui un simile momento: quello che un romanziere capace definirebbe molto meglio del sottoscritto come il

momento più basso della vicenda

Tuttavia, esiste una regola non scritta: l’obbligo imposto dalle tragedie, il dovere di continuare! E se è vero che l’abbuffata di allora gli aveva presentato il conto ora, è ancora più vivido e reale che agli occhi del mondo esterno, tutto, Lui non voleva apparire come il mecenate che aveva svuotato le casse per la propria mania di grandezza; Lui sentiva nel suo più profondo di essere uno venuto dal basso e voleva esser passeggero della stessa barca di sventura con profonda umiltà.

Sollevò quindi il capo dallo sterzo e si rimise in moto…

Pubblicato da

luigigianturco

Detto il SoMMo.

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