Il calcio e la politica la fanno da padroni nelle discussioni di tutti i giorni fra “gente comune”. Quella gente comune che magari erroneamente io spesso definisco “italiani medi”.
Ed è proprio da tale antefatto che vorrei partire, ovvero dal mio aver magari urtato (e me ne duole) la sensibilità di un caro amico definito in maniera giocosa e sardonica #italianomedio.
Il dato contro-fattuale è che frasi del tipo “in media stat virtus” asseriscano che medio è tutt’altro che un’aggettivazione infima. Ma una riflessione è comunque dovuta, credo.
Dire ciò che si pensa è un pregio, forse…poiché, farlo senza filtri magari risulta un po’ meno gradito. A volte poi il peso delle parole è più ingente di quanto si possa immaginare ed allora in quei casi speri di avere un #vate a portata di mano.
Uno che con scaltrezza ti dica: <<In quale cultura gli uomini dicono veramente chi sono e chi vogliono essere?>> Domanda retorica che tuttavia restituisce la complicatezza del reale.
L’amico Stefano come ormai so (e apprezzo da anni) “gattopardeggia” nell’approccio con i contesti della vita e spesso mi sono messo a drenar scibile dalla di Lui intelligenza relazionale: un qualcosa del tutto fuori dal comune.
Spesse volte Lui è giunto a redarguirmi, come un vero censore, nelle diatribe della nostra chat a 3. Un mezzo di condivisione atipico nella forma e pertanto nella sostanza da ottimizzare, forse… Una chat che vede anche la presenza della #volpe sicuramente non da meno, benché con tinte differenti, nel fornirmi giornalmente spunti.
Insomma, Volpe e Vate sono consorti. Ovviamente da intendersi nel senso specifico del “condividenti la stessa sorte”: quella di ascoltare sovente le mie spocchiose e circonvolute analisi.
Quindi è automatico che nell’aria (della chat) il respiro di una familiarità giocherellona nata per apparire quasi liberatoria risulti oggi e spesso oppressiva. Ed ecco un’altra fermata di quelle definibili come non casuali, specie se insorgenti prima di argomenti scabrosi…
E mi riferisco all’opportunità che spesso ho considerato (e considero) di ammutolirmi sulla soglia delle discussioni del giorno. Quelle attuali, calde e succulente (ed ovviamente non mi riferisco solo alla nostra chat, nds). Ma fingermi yes-man osservante mi è contro-natura altrimenti magari avrei raggiunto già da qualche tempo l’agognato incarico lavorativo di maggiore responsabilità…
Ma non voglio uscire dal tema iniziale né dilungarmi eccessivamente. L’anabasi o quovadis (per dirla col leit motiv che spesso ha imperversato su queste pagine) me l’ha fornito stavolta un personaggio non ancora citato al momento: Rebecca. Lei, vedendomi straziato da una certa ignoranza (che io percepivo attorno), osservandomi spesse volte attonito e capendo che spesso e (mal)volentieri io decidessi scientemente di tacitarmi, ha voluto illuminarmi.
Per me è stato come sentir viaggiare una locomotiva nella notte!
Era inutile ed è, inutile, angustiarsi troppo per la deriva sociale a cui stiamo assistendo inesorabilmente specie nel nuovo secolo e se vogliamo rompere il circolo, portandolo dal vizio alla virtù, occorre lottare incessantemente anche a rischio di esser incompresi.
È stato così che nella mia orbita sia tornato magicamente un sorriso, un sorriso degno sposo della sensazione che con Lei si inizi sempre da 1-0 ma non sul campo, nella vita! Lei è per me l’estensione del campo del possibile e mai ci rinuncerò!
E con questa frase ignobilmente “rubata” a Sartre voglio sperare che si completi prima o poi quell’opera rivoluzionaria nata 50 anni fa, ma in grossa parte emblema del naufragio della cultura moderna a causa del suo troppo specchiarsi in se stessa anziché evolversi dopo le sue enfatiche spinte iniziali…