Tramandare la vita per aneddoti è uno degli “sport” che meglio mi riescano. Episodi, fatterelli, storielle il cui comun denominatore è il dinamismo: viaggiano, rimbalzano, ritornano corretti, per poi tornare a vagare di nuovo. E’ questo il vagabondeggiare del proprio talento empatico, una dote che può non aver confini se solo la sai motivare, alimentare e partecipare o se preferite, in una sola parola: viverla…
E’ così che in un mondo tutto lastricato di tritolo, tu possa rimanere a galla unicamente perché il tuo cruscotto emozionale è da ritenersi troppo forte, troppo avanti, troppo e basta…in una specie di autismo da buon selvaggio.
Ecco allora che i mammasantissima della sfera del negativo si trovino improvvisamente ad arrancare e cerchino un quanto mai fantomatico armistizio con il palcoscenico del tuo successo, ove Tu che “reciti” la parte dell’emozionato emozionante ti senti finalmente a tuo agio.
E quindi quovadis? Occorre evitare che sia la temporaneità a sottrarti stavolta il sorriso, o meglio, quel sorriso, quello dotato di personalità e carisma ineludibili, che per storia e definizione identificano lo stato in luogo di un movimento inarrestabile: un senso della ricerca infinito dominato dal desiderio di andare a vedere ciò che gli altri potrebbero vedere ma non vedono.
E’ qui che si può cogliere e trarre il dado e quasi fossimo degli odierni Giulio Cesare sapremmo trasformare dei contorni amatricianeschi da De Niro dei poveri in pellicole di notevole impatto emotivo. Con un’unica e non banale postilla: qui seppur tutto appaia come dentro un film, di finzione ce n’è davvero poca…
Si tratta della nostra vita: una vita da coccolare giorno dopo giorno, da plasmare centimetro dopo centimetro e da ascoltare nota dopo nota.
Solo così potremmo ritenerci padroni e soddisfatti, soddisfatti e padroni in un contesto in cui alzare l’asticella diventi mantecatura di vita!